Home Ritratto di famiglia “LA LEGGENDA DI BARTALI”, UN GRANDE ITALIANO: INTERVISTA ALL’AMICO E GIORNALISTA MARCELLO LAZZERINI

“LA LEGGENDA DI BARTALI”, UN GRANDE ITALIANO: INTERVISTA ALL’AMICO E GIORNALISTA MARCELLO LAZZERINI

da Lisa Bartali

Marcello Lazzerini è noto giornalista, oltre che un caro amico di famiglia. Ho pensato di intervistarlo per trasportarvi in un’atmosfera unica, quella della stesura della mitica biografia “La leggenda di Bartali”, con tanto di aneddoti del backstage lavorativo. Vi parleremo di Gino come uomo, con ricordi divertenti e commoventi di una grande amicizia, ma anche del suo contributo sportivo e socio-politico nel famoso Tour de France del 1948.

In che occasione hai conosciuto nonno Gino? Come è nato il progetto del libro La Leggenda di Bartali, premio Bancarella 1993 per il miglior libro sportivo dell’anno ?

Il grande Gino l’ho conosciuto nel ‘92 quando la casa editrice Ponte alle Grazie, con la quale già collaboravo per un altro libro, mi propose di dedicarmi ad un’insolita impresa: scrivere la storia a puntate di un grande campione del ciclismo noto in tutto il mondo: Gino Bartali. Perché proprio io? Penso per 2 motivi: la popolarità di cui godevo come giornalista Rai, anche nel mondo dello sport, e il rapporto di amicizia e stima che mi legava al Presidente della casa Editrice Franco Camarlinghi, (insieme avevamo condiviso, in ruoli diversi, lui come assessore alla Cultura la prima esperienza della Giunta Gabbuggiani, Sindaco di Firenze) .

La casa editrice, fondata dalla marchesa Bona Frescobaldi, intendeva valorizzare figure e storie della nostra terra. E quella di Gino era una delle più luminose. Tramite il collega Romano Beghelli, che ben lo conosceva e ne custodiva scrupolosamente il palmares, riuscii ad entrare in contatto con Bartali ed a convincerlo della bontà dell’impresa. Anche lui evidentemente amava le sfide. Firmato il contratto,

ci mettemmo subito al lavoro, fissando a casa di Gino incontri periodici settimanali.

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I compiti erano così suddivisi: a me quello di scrivere la storia della sua vita di uomo e di ciclista, a Romano la ricostruzione delle corse; al collega Fabrizio Borghini, nella sua veste di editing, il compito di curare ogni singolo fascicolo nei dettagli (foto, testimonianze, impaginazione).

Raccontaci del backstage della stesura del libro “La Leggenda di Bartali”. Come è stato lavorare con Gino? 

Anche in questa nuova avventura, Gino era di una correttezza e professionalità esemplari. Come quando era in corsa, attento ad ogni dettaglio. Ci incontravamo a casa sua, una o due volte la settimana. Io lo incalzavo con le domande seguendo una traccia che mi ero prefissato con l’intento di associare i momenti noti e ignoti, della sua carriera sportiva con quelli (per lo più sconosciuti) della sua vita privata. La prima parte dei nostri incontri era dedicata alla lettura del testo scritto, la seconda al suo racconto. Talvolta Gino mi presentava ricordi scritti, ma il dialogo tra noi era più vivo e colorito, aperto a mille curiosità anche fuori tema.

Che fosse un’ impresa non da poco ne eravamo entrambi consapevoli. Dovevamo tenere un ritmo alto,

in quanto si trattava di consegnare all’editore i testi già scritti di almeno due fascicoli prima della loro pubblicazione. Fortunatamente Gino era dotato di una memoria da elefante. Si ricordava tutto fin nei minimi dettagli, comprese le reazioni emotive evocate dal suo racconto. Puntualmente la signora Adriana ci portava l’immancabile caffè con grappa per me e l’whisky per lui ( “in casa mia vino e whisky non mancano mai, semmai è l’acqua che non troverai” mi diceva) insieme ai dolcetti. Talvolta s’interrompeva per chiedermi:” ma come fai a capirci in codesti appunti?” Lo tranquillizzavo e si riprendeva. Non di rado salivano ad abbracciare il nonno le sue deliziose nipotine.

Quel simpatico rito è durato fino all’ultimo fascicolo e oltre. Credo ne siano usciti 13, nelle edicole e nelle librerie. Poi, la casa editrice decise di raccogliere tutto i fascicoli un libro, in un monumentale libro posto in vendita al prezzo di 50.000 mila lire).
Ma quelle non erano le nostre uniche occasioni d’incontro e di lavoro. No, ci sono stati i viaggi in auto per andare a presentare i fascicoli e poi il libro nei luoghi e nelle città ove lui era richiesto. Ogni tanto proponevo di usare la mia auto ma lui non me lo permetteva! L’auto doveva essere la sua, e da lui stesso condotta, con la scritta Bartali. Una volta che stavamo andando a Genova alla sede del Secolo XIX, per un incontro promosso da Piero Sessarego, storica penna del giornalismo sportivo genovese, Gino si pose sulla corsia di sorpasso e non la mollò un momento, spingendo al massimo consentito. Immaginate la mia apprensione! Amava la puntualità, per rispetto degli altri. In quel viaggio di andata guardai solo la strada! Al ritorno fu un’altra cosa e potemmo riprendere le nostre chiacchierate.

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Ricordo che ad una tappa del Giro d’Italia, la sua presenza fu accolta con un calore ed un affetto, anche da parte dei bambini, perfino superiori a quello riservato ai campioni in gara. Ogni volta la sua presenza gioiosa era una festa! Gino, cessata la carriera, aveva avuto una seconda vita come giornalista e commentatore Rai, personaggio dello spettacolo ( con apparizioni in tv e nel cinema), severo e bonario al tempo stesso, indubbiamente simpatico e con una voce inconfondibile.

Altro momento di festa e autentico divertimento fu a Gaiole in Chianti in occasione dell’Eroica, mitica gara per amatori, alla quale era presente anche Stefania Sandrelli, con la quale fu un continuo scambio di battute scherzose. Gino era un compagnone, gli piaceva ridere e scherzare.
Ebbene, proprio durante quei nostri viaggi Gino era più disponibile alle confidenze, a soddisfare ogni mia curiosità, ai limiti della confessione ( non prendevo appunti ma memorizzavo), con

la raccomandazione di non scrivere tutto “perché è contrario ai miei principi morali parlare di ciò che ho fatto per questo o quello. Il bene – diceva- si fa ma non si dice e le medaglie si appendono all’anima.

Ovviamente gli davo retta ma solo in parte. E quando si andava a rileggere il testo, lui non trovava niente da obbiettare, in quanto lo scritto scivolava senza particolari forzature anche su quei temi “delicati” intorno ai quali non desiderava si suonasse la grancassa. E’ così che per la prima volta si sono potute descrivere, giusto per rispetto della verità storica, le vicende che mostrano il suo grande spirito caritatevole ed umanitario, dettato da una fede cristiana intensamente vissuta e sempre ricordata: dal salvataggio in Francia di due esuli comunisti ricercati dai militi fascisti, a quello dei 49 soldati inglesi d’intesa con i partigiani, dalle missioni in bicicletta ad Assisi, all’ospitalità clandestina offerta a cittadini ebrei ( all’insaputa della moglie) agli altri episodi nei quali ha rischiato davvero la vita, per essersi posto sempre dalla parte giusta del genere umano, subendo anche vessazioni da parte del regime fascista (come il ritiro forzato dal Tour del ’37) che conobbe anche attraverso il volto brutale della Banda Carità.

Che persona era Gino caratterialmente? A quale ricordo di lui sei più affezionato?

Spero che l’affetto che provo verso di lui non mi faccia velo di un giudizio più distaccato: caratterialmente era uno puntiglioso e scrupoloso, esigente con sé stesso e anche con gli altri, ma sostanzialmente generoso e pronto a perdonare le manchevolezze altrui, ma non a dimenticare

Io sono uno che perdona ma non dimentica – mi disse.

Nella valutazione degli altri seguiva il proprio istinto, ben disposto verso chiunque ma non tollerava torti, ingiustizie, prepotenze, intrallazzi, incompetenze e inconcludenze, sia che riguardassero il ciclismo che nella vita. I ricordi sono tanti e riguardano l’affetto e la complicità che si erano create tra noi, ma ce n’è uno in particolare che forse li riassume tutti e che fino a questo momento ho custodito gelosamente nel mio cuore: eravamo a Cervia, in una trattoria dopo la presentazione dei 5 libri finalisti del Bancarella Sport (alla quale era presente anche Arrigo Sacchi). Eravamo in diversi a tavola, non sto qui a fare i nomi, stranamente io e Gino eravamo seduti distanti l’uno all’altro. E mentre ero assorto nei miei pensieri (in realtà stavo ripensando all’esito della presentazione del libro), mi sento dare un bacio sulla guancia destra: mi volto, era Gino, che si era alzato dal suo posto senza che me ne fossi accorto.

Un gesto spontaneo d’affetto il suo, tanto più gradito quanto inconsueto, forse in esso vi era l’implicito riconoscimento che avevamo sparato al meglio le nostre ultime cartucce prima del voto segreto dei librai (la causa del nostro libro fu perorata allora dall’amico prof. Pierre Lanfranchi, storico francese, che sostenne anche il libro di Pivato “La bicicletta e il sol dell’avvenire”, stesso nostro editore).

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Alla fine, le nostre fatiche e lo sforzo editoriale, furono ripagati dallo scrutinio, sancito dal notaio, avvenuto nella piazza di Pontremoli la sera dell’11 settembre 1993. Conservo ancora la cartella su cui segnai i voti espressi dai singoli elettori sparsi tra librerie ed edicolanti d’Italia: 50 a favore de La Leggenda di Bartali, 26 al secondo classificato, Stefano Pivato, 9, 7 e 2 agli altri libri concorrenti. “Bartali, una leggenda che vince anche tra i libri”, così intitolava il giorno successivo la Gazzetta dello Sport.

Che contributo Gino ha portato con la famosa vittoria del Tour del ’48? 

Il contributo che la storia gli ha riconosciuto, nonostante alcune disattenzioni degli storici. Due i motivi che danno significato storico alla sua impresa ( e della squadra da lui capitanata). Il successo al Tour de France del ’48 segnava “la prima affermazione dello sport italiano sul piano internazionale- così lo storico Pivato – che assumeva un carattere di rivincita dopo che “al tavolo delle trattative di pace di Parigi l’orgoglio nazionale era stato offeso e umiliato”. Un’ impresa titanica che lo avrebbe portato a vincere il suo secondo Tour a 10 anni di distanza dal primo successo del ’38, e dopo una guerra che tutto aveva distrutto, milioni di persone e cose, e rubato gli anni più belli anche ai ciclisti della sua generazione.

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L’altro motivo, quello che dà particolare significato storico sociale e politico alla sua impresa al Tour del ‘48, è dato dal fatto che essa seguiva di poche ore l’attentato a Togliatti, leader del PCI, da parte di un giovane invasato di destra, tale Pallante, la mattina alle 11,30 del 14 luglio, quando il leader del PCI era appena uscito da Montecitorio. Quel giorno, Festa nazionale francese per l’anniversario della presa della Bastiglia, il Tour riposava a Cannes, prima di affrontare le due tappe alpine (580 chilometri complessivi da percorrere e ben 11 colli da scalare!). Gino seppe dell’attentato nel pomeriggio dai giornalisti che si apprestavano a lasciare il Tour per tornare di corsa in Italia. Riunendo i suoi ragazzi sulla spiaggia Gino per indicare loro la strategia per l’indomani,

Gino disse loro: ”Bisogna dare il massimo a costo di scoppiare….Se muore Togliatti si va a casa. Dunque è bene giocare domani tutte le nostre carte e far vedere chi siamo!”

Poi la sera stessa, in albergo, fu raggiunto da una telefonata che è opportuno riportare esattamente come si svolse:” Mi riconosci Gino?” “Certo che ti riconosco. Tu sei Alcide. Mi scusi Presidente …ma sa una volta ci davamo del tu.” “Dobbiamo continuare a darcelo. Ma dimmi Gino come va costi?” “Bene, domani ci sono le Alpi… ”Pensi di vincere il Tour?” “Mah…c’è ancora una settimana. Però la tappa di domani la vincerò al 90 per cento….” “Hai ragione Gino, è vero manca ancora una settimana. Ma pensi di farcela, sai per noi tutti sarebbe importante.” “Perché?  “Perché qua c’è tanta confusione”.

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Attentato-a-Togliatti-giornale-del-1948

Poco dopo il prof. Paschetta, giunto a Cannes, gli spiegò più chiaramente i motivi della telefonata. “In Italia sei come un eroe popolare. Una tua vittoria potrebbe allentare la grave tensione che si è creata nel Paese. C’è bisogno di un’emozione forte, di qualcosa di incoraggiante, entusiasmante, in un momento così triste e drammatico. Per questo ti ha telefonato il Presidente”. Sappiamo com’è andata, Gino vinse le due tappe alpine e poi il Tour, ed il gran Premio della montagna, compiendo un’impresa unica nella storia del ciclismo mondiale. In Italia la notizia del suo successo suscitò l’ entusiasmo popolare. Bartali seppe poi che lo stesso Togliatti, ripresa conoscenza e in via di miglioramento, aveva dato indicazioni affinché l’Unità ne incoraggiasse il successo al Tour.

Quanto alla telefonata di De Gasperi, qualche storico, anche recentemente l’ha messa in dubbio, non ritenendola possibile. Per sgombrare il terreno da simili dubbi, si deve sapere – e Gino nel libro lo dice chiaramente – che la loro amicizia risale al 1935, durante il regime fascista, in occasione dei ritiri spirituali promossi dall’Azione Cattolica al Collegio della Querce di Firenze. “Tra noi -dice Bartali – non si parlava quasi mai di politica in senso stretto, ma soltanto del nostro impegno di cattolici e dell’insegnamento della Chiesa. Era semplice e spontaneo. Non avrei certo immaginato che un giorno sarebbe diventato uno statista di primo piano.”

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Il Bartali di ieri è il Bartali di oggi? Il tempo è passato e Gino sta assumendo un ruolo importante nella nostra STORIA E CULTURA. Non solo atleta, ma anche Giusto tra le Nazioni per il suo contributo umanitario durante la guerra. Lo scorso anno una delle tracce del tema di maturità è stata a lui dedicata. Cosa pensi a proposito ? Mi dicesti che Gino è stato un grande italiano, come Manzoni, e questa frase mi ha riempito di orgoglio. 

Negli anni, nuove importanti testimonianze e ricerche si sono concentrate sopratutto sulle sue azioni umanitarie, rendendo possibili quei legittimi riconoscimenti che tu citavi. E che Gino merita in pieno. In secondo piano è rimasta la sua immensa statura di ciclista e di campione, le cui imprese hanno assunto di per sé un valore storico e non solo sportivo.

Sono queste due componenti – quella del campione sportivo e quella dell’uomo capace di straordinari gesti di umanità tenuti nascosti per 50 anni – che a mio giudizio fanno di Gino un “eroe nazionale”

e non solo un campione amato e stimato nel mondo. E’ significativo e importante che la sua figura sia stata indicata come traccia del tema di maturità. La sua ricca personalità umana e di atleta, esempio di rigore morale, di incrollabile fede e di umana solidarietà, costituiscono un esempio da studiare e seguire. Anche negli anni a venire. Per lui sono stati fatti molti paragoni, chi l’ha paragonato a Verdi (Beniamino Placido) chi a De Gasperi (Indro Montanelli), chi a Garibaldi ( Fabrizio Borghini), io lo accostai a La Pira, dato il suo carattere di credente e libertario, di uomo senza tessere fedele solo al Vangelo, in definitiva un ” Grande italiano”, un costruttore della nostra coscienza civile e di un’Italia migliore, francescanamente aperta a tutte le creature del mondo. Aggiungo che con Papa Francesco sin sarebbe trovato in grande sintonia.

Grazie Marcello della tua testimonianza. Hai scritto delle cose grandi rendendo onore al grande nonno che ho avuto! La Leggenda di Bartali è intramontabile.

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