Può o non può essere la bicicletta un valido mezzo di spostamento casa – lavoro ? Il concetto di Bike to Work, ormai largamente diffuso nel nord Europa, è ancora una filosofia di nicchia qui in Italia. Un modo di vivere fuori dai soliti “schemi” di mobilità urbana, per lo più “auto centrica”. Personalmente non mi sono mai posta questa domanda. La bici è stata una scelta immediata per il mio tragitto casa-lavoro. Per chi è, dunque, questo quesito?
Per i miei concittadini che mi hanno contestato la possibilità di allontanarsi in bici spingendosi oltre lo stesso quartiere ( impensabile! ). Per tutti gli scettici che snobbano la bici e deridono i ciclisti ( la bicicletta è per gli immigrati che non possono permettersi un automobile!!!) Semplicemente per coloro che vogliono conoscere un nuovo stile di vita.
Questo articolo nasce a seguito di uno “scontro culturale”
che è emerso nel mio rione. Più o meno lo stesso scontro che è in atto quotidianamente in ogni borgo e metropoli del nostro paese. Vi diremo la nostra oggi, raccontando una sorta di diario di viaggio casa -lavoro. Quando ho sentito la storia di Giacomo, ne sono rimasta ispirata ed ho pensato di tradurla in un articolo.
Giacomo percorre ogni giorno svariati chilometri in sella alla sua bicicletta per recarsi al suo ufficio. Sì, anche quando piove. Sì, attraversando tutta la città. Non solo attraversando più quartieri, ma ben due Comuni. Per gli amici di Firenze, vi anticipo solo: Grassina – Castello. Il Bike to Work è uno stile di vita ancora distante dallo standard fiorentino e italiano. Il modo di vivere ( e il modo di vivere la bici) che ha scelto Giacomo, mi ha ricordato molto la routine olandese.
Ma qui non siamo in Olanda… questa è una storia fiorentina!
Iniziamo con “la scelta”: Giacomo, perché hai scelto la bicicletta come mezzo di spostamento quotidiano ?
“Bella domanda… Non saprei dire se si sia trattato di una scelta consapevole, o un’abitudine acquisita nel tempo.
Ho iniziato ad usare la bici per andare a scuola. Pedalavo per circa 6 km in riva all’Adige (quando vivevo a Verona). Evitavo la calca negli autobus e le attese alle fermate, al freddo. In fin dei conti ci mettevo meno tempo, per non parlare dello stress.
All’ università la bici è il mezzo privilegiato degli studenti per gli spostamenti cittadini (a Bologna), quindi non facevo altro che uniformarmi al contesto. Poi, a Firenze, per lavoro, ho rinnovato quest’abitudine. Anche perché in relazione ai miei spostamenti
muoversi in bici era sempre più efficiente che ricorrere al mezzo pubblico o all’auto!
Giacomo è un ciclista urbano fuori dagli schemi, o almeno fuori dagli stereotipi a cui siamo abituati. Si reca al lavoro con la bici da corsa. In primo luogo perché in ufficio vi è un posto sicuro dove poterla parcheggiare. Inoltre, quando le distanze aumentano, è normale optare per la funzionalità. Sia nella bicicletta ( quella da corsa è più leggera, agile, accessoriata), sia nella scelta dell’ abbigliamento: tecnico e più appropriato ad un chilometraggio che si aggira sui
15 km per tratta. Parliamo del percorso giornaliero:
“Ovviamente il percorso per recarmi a lavoro è stato più volte “adattato”. A Firenze le ciclabili ci sono, ma se devi partire da Grassina e arrivare a Castello devi scegliere dei compromessi, perché a seguire le ciclabili finisci per allungare troppo la strada.
Per forza di cose oggi percorro la Via Chiantigiana da Grassina a Badia a Ripoli, poi da lì si viaggia abbastanza bene su Viale Giannotti. Attraversato il Ponte Da Verrazzano, arrivo su Via Mannelli e costeggio la ferrovia fino a poco prima del Parterre. Al Ponte Rosso attraverso il fiume Mugnone, raggiungo via Fabbroni, Piazza Leopoldo ed in breve arrivo in Viale Morgagni. Oltrepassata la zona ospedaliera di Careggi, e sbucato su via delle Gore, sono praticamente arrivato.
Non è il percorso più diretto, ma almeno è quello che mi permettere di prendere vie meno trafficate, più spaziose e quindi più “pedalabili” . Anche la qualità dell’asfalto conta! Al ritorno invece raggiungo i viali percorrendo le ciclabili.
Arrivo fino a Piazza Ferrucci e al primo semaforo di Via di Ripoli inizia il bello: Via del Larione e Via Benedetto Fortini, che mi porta direttamente a Ponte a Ema dopo aver “scollinato” il mitico Colle dei Moccoli (e tu sai bene perché è “mitico”, non tanto per la pendenza quanto per chi era solito percorrerlo…).
Per chi pedala sul Colle dei Moccoli, famoso perché mio nonno Gino lo saliva addirittura senza mani, direi che è necessaria la bici da corsa. Il vantaggio della bicicletta in generale, mi spiega Giacomo, oltre ai soldi risparmiati per la benzina (o per la palestra!) è quello di avere la certezza dei tempi di percorrenza:
Se esco di casa alle 8.00, in novantacinque casi su cento arrivo in ufficio tra le 8.43 e le 8.49. Non è male in quanto ad affidabilità, specie rispetto all’uso della macchina, con la quale ci metto tra i 50 e i 65 minuti a seconda del traffico
L’abbigliamento tecnico facilita le cose. Permette di viaggiare comodamente anche in condizioni climatiche non ideali.
Concordo con Giacomo nel dire che, alla base di tali abitudini, ci deve essere tuttavia la possibilità di avere uno spazio dove tenere un ricambio e un asciugamano. Scordiamoci ancora per un bel po’ docce e spogliatoi di cui sono dotati gli uffici a Copenhagen. Accontentiamoci di un lavandino abbastanza ampio per potersi dare una sciacquata veloce!
Cosa pensi degli automobilisti? Ti senti un intruso su strada o hai trovato un equilibrio di convivenza?
Capita di sentire gli automobilisti lamentarsi dei ciclisti, i ciclisti dei pedoni, i pedoni degli automobilisti, e ritorno. Premesso che
in ogni categoria di “utenti della strada” c’è una percentuale costante di “irrispettosi”
verso il comportamento altrui (quindi il problema si riduce ad una questione di rispetto reciproco), io sono ciclista quando uso la bici, automobilista quando uso l’auto e pedone quanto vado a piedi! Sentirsi appartenere ad una categoria in rapporto conflittuale con una delle altre due è sintomo di una scarsa cultura verso la mobilità integrata. Ovvero la possibilità di usare una combinazione di mezzi diversi per ottimizzare le percorrenze. I mezzi di trasporto sono, appunto, mezzi: un’opportunità, non un fattore di identità.
Quanto agli automobilisti, a Firenze noto un’attenzione, un rispetto e una cortesia particolare nei confronti delle bici. Capita raramente che le auto non mantengano le distanze di sicurezza (a volte sono proprio i ciclisti a viaggiare in mezzo alla strada!), e spesso ti cedono una precedenza non dovuta. Quindi conflitto direi di no, rispetto reciproco invece sì.
Cosa risponderesti a chi non crede che si possa attraversare la città in bicicletta per andare al lavoro? E a chi mette in dubbio che si possa pedalare in caso di maltempo e freddo?
Ricordo di aver visto anni fa un documentario su Copenhagen, dove un “ciclista urbano”, intervistato sulla rigidità delle condizioni meteorologiche, diceva qualcosa del tipo:
per noi non è questione di bello o cattivo tempo, è questione di abbigliamento adeguato o inadeguato
Ecco, quella dichiarazione mi ha aperto un mondo… A chi non crede di poter usare la bici per spostamenti non irrisori direi che lo capisco. Mi spiego: non è che dall’ oggi al domani chi non è un habitué della pedalata possa trovare facilmente affrontabile un cambiamento di “stile di spostamento”. Per me è stata una cosa graduale, un adattamento continuo: alle distanze, al mezzo, all’abbigliamento, alla scelta dei percorsi.
Però si potrebbe iniziare con dei piccoli “esperimenti”, come una pedalata verso il luogo di lavoro durante un giorno di ferie, per vedere l’effetto che fa. Insomma, la prenderei più come una politica dei piccoli passi (o delle brevi pedalate) piuttosto che come un drastico cambiamento di stile di vita…Ah, a proposito,
se c’è un problema che in genere non affligge il ciclista, è quello del freddo!
Ok, si può soffrire per cinque minuti, ma in genere una volta che si inizia a pedalare il problema è risolto. Il rischio è piuttosto quello di avere caldo. Malgrado l’Italia sia ancora all’anno 0 dello sviluppo ciclabile ( infrastrutture scarse e mal tenute, tanti progetti e pochi cantieri, parcheggi non sufficienti ecc..) può valere la pena di prendere la bici.
Giacomo ci ha illustrato che, con vari accorgimenti tecnici, provando a piccoli passi e studiando bene il percorso, tutti possono approcciarsi all’utilizzo della bici. Un’ ultima domanda rivolta nello specifico a Firenze: cosa si può fare nella nostra città per incentivare l’utilizzo della bici e migliorare la viabilità?
“Beh, come dicevo prima, quando si pensa all’incentivo dell’utilizzo della bici, il primo pensiero va sempre alle piste ciclabili.
Il ciclista in realtà si pone un’altra domanda:
“se prendo la bici, poi, dove la lascio?”
Vedo in città molte rastrelliere stipate di catorci rugginosi abbandonati, che a fotografarli verrebbe un ottimo spot per una pubblicità progresso sul richiamo dell’antitetanica… Tra i rottami si possono intravedere delle rastrelliere, a cui peraltro è complicato “allucchettare” la bici perché l’attacco spesso e volentieri è all’altezza della ruota, con la diretta implicazione che l’aggancio delle catene rigide al telaio, la modalità più sicura, è quasi impossibile.
Inoltre, in assenza di segnalazioni, o sai già dove sono le rastrelliere o rischi di girare a vuoto per un bel po’, per poi finire ad attaccare la bici al palo di un divieto di sosta!Io partirei da qui. Spazio in garage pubblici in centro a tariffa agevolata? Potrebbe essere una ulteriore soluzione. Qualsiasi iniziativa si scelga, questa va comunque pubblicizzata e opportunamente segnalata, se no la soluzione rimane una cosa tra pochi intimi. Va da sé che
vanno segnalati anche i percorsi ciclabili, con relative destinazioni e tempi di percorrenza
Infine, date anche le opportunità offerte dal bike sharing, la ciclabilità andrebbe pensata in ottica di viabilità generale integrata, pubblicizzando i (possibili/potenziali/auspicabili) nodi di interscambio con le fermate principali della tranvia, degli autobus, dei treni e dei parcheggi scambiatori.
Anche in questo caso, il tutto va accompagnato da una campagna di informazione adeguata.
Le piste ciclabili andrebbero poi progettate da chi la bici la usa regolarmente, perché il rischio è sempre quello di dare per scontato tante cose che in realtà non lo sono (tipo la disponibilità delle stramaledette rastrelliere con l’aggancio al telaio!)
Un’ultima cosa.. Andare in bici è bello!”
Giacomo ci ha raccontato, in fin dei conti, come il Bike to Work sia uno stile di vita appagante. E, soffermandoci sull’ultimo punto, pedalare è non solo salutare, ma gratificante e divertente.
La bici ti dà qualcosa che né il tram, né l’auto possono offrirti. Pedalando, riceviamo sensazioni magiche e siamo a contatto con belle situazioni, anche inaspettate e fuori programma. Ad esempio la possibilità di fermarti al volo a comprare il pane, osservare una vetrina, scambiare due parole con un amico!
Secondo gli ultimi studi, l’utente che utilizza la bicicletta tende ad acquistare di più rispetto al cittadino che viaggia in autobus o in auto. Questo favorisce lo sviluppo delle piccole attività di quartiere, la parte più autentica delle nostre città. Chi non avesse ancora provato la bici in città dunque.. che cosa sta aspettando?