Home Ritratto di famiglia NEL RICORDO DI GIULIO BARTALI, FRATELLO DI GINO: UN SOGNO INFRANTO A VENT’ANNI

NEL RICORDO DI GIULIO BARTALI, FRATELLO DI GINO: UN SOGNO INFRANTO A VENT’ANNI

da Lisa Bartali
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Nel ricordo di Giulio Bartali, da me conosciuto solo attraverso una fotografia in bianco e nero, scrivo questo articolo nell’intento di rendergli omaggio, a mio modo. Il 14 giugno 1936, il giorno dell’incidente, Giulio aveva vent’anni. Era nato il 20 ottobre del 1916, due anni più giovane di Gino. Era il più piccolo in famiglia. Le sorelle, Anita e Natalina, vigilavano su di lui. Giulio aveva seguito le orme del fratello maggiore. Entrambi correvano nella società sportiva Aquila di Ponte a Ema. Si allenavano insieme per le colline toscane, tra battute e rigidi allenamenti.

L’ entusiasmo dei vent’anni , correndo insieme al fratello inseguendo il suo sogno,

quello di diventare come Binda e Girardengo, un grande ciclista! Il sogno di gareggiare come professionista insieme a Gino, nutrendo una prospettiva di vita migliore, fuori da quel borgo di umili lavandaie e contadini. D’altronde non ci sono limiti ai sogni di un ragazzo. E lui correva, e sognava. E poi arrivò quel 14 giugno in cui si disputava il Campionato dei Giovani Fascisti Toscani, una gara per dilettanti.

Erano sulla discesa del San Donato, lui e altri due compagni in fuga. Pioveva.

Vicino a Osteria Nuova sopraggiunse un auto, nonostante i divieti di transito. Al segnale si fermò, poi bruscamente ripartì e tutti e tre i corridori vi si scontrarono. Giulio Bartali riportò vari traumi, e urtando contro la maniglia dello sportello della balilla si ruppe la clavicola sinistra. Fu trasportato in ospedale.

Gino nel frattempo aveva in programma un’altra competizione oltre i confini toscani, che fu poi rimandata a causa del maltempo. Accorse dal fratello in ospedale, che nonostante l’incidente non aveva perso lucidità.

Dal racconto di Gino nel libro ” La leggenda di Bartali “:

Nasello– così mi chiamava per l’incidente che mi aveva provocato la frattura del setto nasale durante una volata a Grosseto – sono cose che capitano.” E mi raccontò com’era andata. I medici mi dissero che doveva essere operato. Lo lasciai sorridente. Finito l’intervento i medici mi dissero che potevamo riportare Giulio a casa. Nelle ore successive non mi disse niente, non parlava. Mi stringeva la mano. Morì così. Solo dopo 23 anni mia madre mi disse ” Gino ora ti posso dire la verità. Si trattò di una operazione sbagliata che aveva provocato a Giulio un’ emorragia interna”. Mia madre si era decisa a rivelarmi queste cose solo dopo la morte del primario, per discrezione.

Mio nonno, a seguito di questo tragico evento, lasciò la sua amata bici in un angolo,

deciso ad abbandonare la carriera del corridore. Il disorientamento, il dolore, anche in parte il senso di colpa nell’aver trascinato il fratello minore in uno sport faticoso e pericoloso. Per questo, in seguito, non volle che figli o nipoti intraprendessero la carriera ciclistica. Non solo per questo. Credo che avesse intuito che, nel mondo del ciclismo di quegli anni Cinquanta, a fine della sua carriera, fosse in atto una fase di grande mutamento. Lo sport genuino della sua gioventù si era evoluto in un qualcosa in cui lui non si rispecchiava. E poi stava prendendo piede il doping.

Sempre più calcoli e meno cuore.

Mia nonna Adriana, che sposò poi nel 1940, e le sorelle Anita e Natalina, convinsero Gino a riprendere le corse. Dedicò pubblicamente una delle sue vittorie a Giulio, ma credo che sia rimasto nei suoi pensieri sempre. In ogni allenamento, in ogni corsa. La decisione di riprendere le gare fu presa anche a seguito di una riflessione: avrebbe voluto Giulio che il fratello si ritirasse, si sottraesse al suo destino da campione? No di certo. Ogni passo in avanti, ogni vittoria, ogni traguardo diventò, in fondo, una dedica al fratello. Il sogno da rincorrere era ancora più sentito, ora. 

Gino diceva sempre che Giulio aveva grandi doti, che era l’unico che gli restava a ruota in allenamento!

C’ è una stele sulla salita del San Donato, a Bagno a Ripoli, proprio dove Giulio ebbe l’incidente, in cui è inciso il suo nome. Il prossimo 16 giugno sarà l’anniversario della sua scomparsa. Giulio, è stato un ciclista vittima della strada, vittima di un’incidente tragico, che poteva essere evitato, come è successo a tanti altri giovani.

Siamo vulnerabili, tutti. Ieri come oggi.

Il collegamento viene spontaneo con i tragici incidenti in bicicletta di Michele Scarponi e Nicky Hayden. Come con tutte le altre vittime, che non sono state oggetto di discussione sui social, perché un nome famoso non ce l’avevano. Servono più tutele per i ciclisti, come serve più responsabilità al volante. Resta il fatto che la vita è imprevedibile. Giulio Bartali l’ha lasciata, la vita, rincorrendo i suoi sogni; ma non per questo l’ha persa invano.

 


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2 commenti

Marco 20 Giugno 2019 - 21:54

L’immagine che ho di Gino Bartali è dal basso verso l’alto, io bambino lui anziano, ci incrociavamo spesso sul marciapiede di via Lungo l’Affrico all’altezza dell’Esselunga. Lí di fronte aveva trovato un impiego mia mamma e allora non sapevo chi fosse quell’uomo dal passo incerto e l’aria un po’ triste che ogni volta mi squadrava con aria paterna. Un gioco di sguardi, ricordi di tanti anni fa…

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Lisa Bartali 25 Giugno 2019 - 13:49

Grazie del tuo messaggio Marco. Un ricordo suggestivo. Sì nonno aveva un carattere burbero e l’aria spesso un po’ triste e seria. Così lo ricordo anche io da bambina.

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